God Save The Cheese

God Save The Cheese

God save the cheese, non me ne voglia la Regina ma mai frase fu più azzeccata per descrive l’edizione di Cheese 2019.

Se non avete ancora assistito alla fiera diffusa di Bra prendete appuntamento per il 2021 e non perdervela. Per nessun motivo al mondo. Per quanto mi riguarda questa è stata  la seconda edizione a cui ho partecipato. Nel 2017 il mio percorso come assaggiatrice di formaggi era appena all’inizio e Cheese mi sembrò da subito una bellissima sala giochi in cui testare finalmente tutta la teoria appresa. Quest’anno con qualche esperienza in più sulle spalle e l’esame da Maestro assaggiatore superato la manifestazione ha assunto toni diversi.

Lo dico senza vergogna, ho preferito viaggiare tra gli stand stranieri ma per una semplice questione di distanza chilometrica da quelle produzioni. Testare, degustare, provare formaggi inglesi, americani, spagnoli e anche francesi mi ha permesso di confrontarmi con culture diverse che non possono far altro che arricchire il mio background culturale caseario.

Naturale è possibile, questo è stato il tema centrale della manifestazione. Nel mondo del vino, il percorso per la definizione di quel che è naturale è iniziato già da tempo. Quando si parla di un vino naturale, si fa riferimento a vini prodotti con pratiche meno invasive e standardizzate, che si oppongono all’uso di quei lieviti selezionati che, a giudizio di coloro che difendono “il naturale”, arrivano a livellare la qualità ed a far svanire il legame fondamentale con il terroir.

La produzione di formaggi naturali invece è solo all’inizio del cammino. Già nel 2017, a Cheese, si è iniziato ad esplorarli, identificandoli con quei prodotti a latte crudo realizzati senza fermenti selezionati o ricorrendo a fermenti autoprodotti (latte innesto, siero innesto). Sappiamo perfettamente che i formaggi naturali sono solo una piccolissima parte di quelli che si trovano in commercio e che sia le grandi aziende sia i piccoli produttori di malga fanno largo uso di fermenti selezionati.

Cheese 2019 ci riprova. Spiega che partendo dal latte crudo si può approdare ai formaggi naturali, ovvero senza batteri selezionati in laboratorio e riprodotti industrialmente da pochissime multinazionali, più ricchi di biodiversità e che aiutano a conoscere la migliore espressione del territorio di provenienza. E’ chiaro che il ritorno a questo stile di produzione richiede più tempo e più esperienza, ma non è affatto irrealizzabile.

Muoversi tra gli stand è una meraviglia. Mi fermo davanti al formaggio forse più fotografato della manifestazione (ndr ed io non sono stata da meno, trovate infatti la foto in queste pagine), siamo in Austria, Il Tiny Blossom è un formaggio da latte vaccino crudo, ricoperto interamente da petali di fiordaliso, calendula rosa, lavanda, prezzemolo, rosmarino, aglio santoreggia, sale marino, cipolla, origano e paprika.

Uno spettacolo per gli occhi, un’esplosione di gusto e profumo per i sensi.

Passiamo in Spagna dove la Comunidad Valenciana ci regala il Tronchon un formaggio DOP vaccino a latte crudo ma realizzato anche nella versione con latte di capra. La bellezza sta tutto nella forma che è realizzata con antichi stampi che permettono di creare sulla parte superiore un incavo dove in età antica veniva versato il vino per insaporire il formaggio che veniva tagliato facendo colare il liquido sulla fetta.

Il mio cuore però l’ho decisamente lasciato in America, si avete capito bene. Sono arrivata oltre oceano e sono rimasta folgorata dall’erborinato made in USA.  L’Organic Blue Cheese Rogue River Blu, viene prodotto con latte vaccino biologico per poi essere invecchiato in grotta e avvolto in foglie di vite Syrah imbevute di liquore. E’ un semi-morbido che entra in bocca avvolgendola con la sua dolcezza per poi colpire con l’erborinatura ed il vago sentore di liquore rilasciato proprio dalle foglie in cui è avvolto. Naturalmente non sono stata di certo l’unica a pensarla così, visto che proprio questo formaggio ha vinto il World Cheese Awards 2019 superando più di 3.800 formaggi esaminati da una giuria internazionale di esperti. Si è piazzato al primo posto dopo un testa a testa con il Parmigiano Reggiano stagionato 24 mesi della Latteria Sociale Santo Stefano di Basilicagoiano (PR). Insomma per questa volta USA batte Italia 1 a 0.

Ma Cheese non è solo stand, collegati alla manifestazione ci sono diversi eventi collaterali e degustazione che si snodano tra le vie della città fino ad arrivare alla vicina Università di Pollenzo.

Bellissima e molto formativa per esempio la degustazione guidata da Neal’s Yard Dairy dove scopriamo 5 formaggi inglesi veramente particolari, tenuto conto che molti di questi stanno lentamente scomparendo, e per alcuni di essi restano pochi o pochissimi produttori a realizzarli nella forma originaria a latte crudo. Parliamo del Lancashire, per esempio, formaggio di latte vaccino crudo, prodotto nell’omonima contea. Del Cheshire, un formaggio a metà strada fra Cheddar e Feta, friabile e sapido, non umido. Prodotto anch’esso da latte vaccino crudo, prende il nome dalla contea di produzione. Del Wensleydale formaggio morbido e friabile prodotto sempre con latte vaccino crudo a crearlo è rimasto un solo casaro nella vallata Ribblesdale dello Yorkshire. Del Red Leicester, la cui versione industriale lontana anni luce da quella artigianale, è sempre a latte vaccino crudo, è rimasto un solo un produttore nell’area Sparkenhoe del Leicestershire, Ed infine del Caerephilly, simile ad un Cheddar fresco ma più elastico. Prodotto da latte vaccino crudo nel Galles da soli due casari.

L’incredibile abbinamento proposto è quello con i Whisky, in un insolito giro del mondo che parte dal Giappone, passa per un bourbon americano per poi approdare a Taiwan ed in Scozia. Le note fruttate smorzano le parti erbacee dei formaggi e ne nobilitano l’assaggio. Mentre le note ricche e speziate sostengono perfettamente la complessità e le note affumicate di un formaggio, quelle di un whisky secco e sapido, quasi marino e torbato, trovano subito compensazione con la parte grassa presente nei prodotti caseari di altissimo livello presentati. Abbinamenti più che riusciti e da provare senza ombra di dubbio.

Tornando in Italia l’Università di Pollenzo ci ha proposto invece una bellissima degustazione dove il re dei formaggi italiani, sua maestà il Parmigiano Reggiano, ha incontrato le bellissime note granata del principe dei vini, il Barbaresco. Una selezione dei migliori cru in abbinamento a diverse stagionature di Parmigiano Reggiano di montagna dell’Azienda Ferrari di Ossago Lodigiano. Ecco la selezione: Barbaresco Ronchi ’15 Albino Rocca, Barbaresco; Barbaresco Asili ’15 Michele Chiarlo, Barbaresco; Barbaresco Albesani Santo Stefano ’15 Castello di Neive, Neive; Barbaresco Starderi ’15 Collina Serragrilli, Neive; Barbaresco Valgrande ’15 Ca’ del Baio, Treiso; Barbaresco Rombone ’15 Fiorenzo Nada, Treiso. L’evento si è poi chiuso con un piatto dello chef stellato Ugo Alciati, di Guido Ristorante di Serralunga, tenuta di Fontanafredda. Un uovo cotto a bassa temperatura preparato in maniera eccellente.

Tra gli stand italiani a colpirmi è invece un formaggio (a latte crudo di capra stagionato 50 giorni) pugliese, prodotto da La bottega del pascolo di Gian Domenico Negro. I piccoli parallelepipedi vengono avvolti da una pasta di argilla rossa che dona al formaggio sentori caratteristici. Bello da vedere ancor più da degustare. Come pure il Pioda nelle vinacce di Castagna Formaggi, erborinato e profumato al punto giusto ed il fantastico caciocavallo Irpino del caseificio D&D dell’Alta Irpinia che ha pensato bene di creare una confezione “trasformabile”. Un bellissimo tagliere piegato che una volta aperto si adagia direttamente in tavola.

Cheese è terminato. Torno a casa felice. Per me è sempre una festa andare a Bra per questa manifestazione. Oltretutto quest’anno ho avuto anche l’occasione di conoscere un bravo oste che mi ha fatto viaggiare tra i vini d’eccellenza piemontesi. Quindi se andate ad Alba vi consiglio di fare un salto da Cichin Vin e Crije. L’Arneis macerato di Cascina Val del Prete e la Barbera d’Asti di Simone Cerruti mi sono rimasti nel cuore. L’appuntamento è per il 2021 e sono sicura sarà ancora una volta un’edizione fantastica.

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